1. Aprile- Ottobre 1943:
Provenza
Mio padre, Callisto Bortoli, era nato nel 1909 a Calavino,
un piccolo comune del Trentino, nellItalia del Nord. Aveva compiuto il suo servizio
militare negli anni 1929-30, nel corpo degli Alpini Richiamato e congedato più volte tra il 1939 e il 1942 gli è stata inviata nuovamente la cartolina nel gennaio del
1943. Nellaprile dello stesso anno viene inviato in Provenza come componente delle
truppe di occupazione italiane nelle vicinanze di Tolone sulla Costa Azzurra: Bandol,
Sanary e poi nellisoletta de La Tour Fondue che si trova dirimpetto al porticciolo
di Le Brusc (attualmente comune di Six-Fours les Forges) fino al settembre 1943.
Qui vis ono numeorsi soldati originari della setssa
regione ed in modo particoalre un coetaneo dello s stesso paese, Cornelio parisi con il
quale vivrà lintero periodo della guerra e del successivo internamento.
E la festa quando riceve delle gallette inviate pe rposta dalla sua famiglia. Durante
loccupazione dellisola le truppe sono sempre sottoalimentate, e in più devono
fare i conti con la sete.
La raccolta dei crostacei è vietata alla popolazione locale ma permessa alle truppe di
occupazione che ne fanno oggetto di un piccolo commercio: mitili in cambio di vino, unica
sostanza alimentare di cui la popolazione locale disponeva in misura maggiore
rispetto ai soldati italiani. Talvolta era qualche coniglio delle case vicine che spariva
durante la notte
Perfino un cane randagio che si era approssimato ai soldati era
stato macellato
Lufficiale italiano che aveva intuito le loro intenzioni li
aveva ammoniti di non farlo, ma la fame era troppa così i soldati furono sorpresi
dallufficiale mentre erano intenti alla cottura del povero animale e ordinò di
gettare tutto in mare. Mio padre, in unaltra stanza tratteneva a stento le risa,
malgrado la fame non avrebbe mangiato lanimale e si immaginava i musi lunghi dei
commilitoni che avevano potuto mangiare soltanto il cuore e i polmoni posti a cuocere a
parte.
Il 25 luglio, giorno della caduta di
Mussolini, mio padre è in permesso agricolo al suo paese; non pensa minimamente a
disertare e il giorno dopo, finito il permesso, intraprende il viaggio di ritorno per la
sua isola. Il 2 settembre la sua compagnia dovrebbe ritornare in Italia, ma il capitano
rifiuta di far viaggiare i suoi uomini sui vagoni scoperti, troppo facile preda delle
sassaiole dei francesi. Bisognerà aspettare una decina di giorni prima di poter disporre
di vagoni coperti. La sera dell8 settembre, però, gli Italiani vengono disarmati e
presi in ostaggio dai tedeschi, Nei giorni successivi ripetutamente vengono radunati e
posti di fronte alla scelta di combattere al loro fianco o di recarsi
"volontariamente" a lavorare in Germania. La maggioranza di loro rifiuta ambedue
le opzioni. Soldati e ufficiali sono insieme; mio padre guarda stupito gli alti ufficiali
che sbucciano le patate insieme a loro e che partecipano la loro tristezza sapendo di
essere destinati a qualche campo di internamento per ufficiali in Germania
2-Prigioniero dei Tedeschi- Trasferimento in Bretagna
A partire dal 20 settembre gli Italiani non hanno lo status di prigionieri di guerra ma
quello di "internati militari" ciò che li pone al di fuori
dellapplicazione della Convenzione di Ginevra. Il 14 ottobre, giorno onomastico di
mio padre, è la partenza per la Bretagna: sei giorni di viaggio in treno fino a Quimper.
Nelle settimane successive gli "internati militari" sono adibiti alla posa di
mine sul litorale sud della costa bretone e ai lavori di fortificazione per il Muro
dellAtlantico. In seguito mio padre, assieme ad alcuni altri viene condotto in un
ospedale militare tedesco a Plouay. Qui si occupa delle corvees di servizio ed in
particolare, assieme ad un commilitone siciliano e scortati da un soldato tedesco, deve
recarsi giornalmente alla stazione ferroviaria di Hennebont, con un carro trainato da due
cavalli, per trasportare le derrate necessarie allospedale.
Nel corso di una giornata invernale, mio padre e laltro soldato si avvicinarono a
un fuoco acceso dai ferroviari, per riscaldarsi lasciando il carro senza controllo. Il
passaggio di un treno accompagnato da un fischio spaventò i due cavalli che partirono al
galoppo in direzione di uno dei ponti che attraversano il fiume locale, il Blavet, per
arrestarsi contro un autobus di linea che veniva in senso opposto. Linchiesta che
fece seguito allincidente non aveva potuto provare una responsabilità precisa di
mio padre,ma, nei giorni successici, un veterinario tedesco, ma originario della provincia
di Bolzano, con un certo sadismo insisteva perché mio padre andasse sotto il ventre di
uno dei due cavalli con un pennello per disinfettare la ferita che si era procurata nel
corso dellincidente. Vedendo latteggiamento dellanimale che si
imbizzarriva non appena qualcuno gli si avvicinava, mio padre si rivolse al veterinario
nel suo dialetto trentino, che sapeva essere compreso dallaltro e gli disse: Tò la
pistola e cópeme se te vòi, ma no vago a farme copàr dal caval"(Prendi la pistola
e uccidimi se vuoi, ma non vado a farmi uccidere dal cavallo).
Il veterinario non insistette trovando un altro mezzo per curare la ferita.
I lavori preferiti dai prigionieri erano quelli della cucina; questi permettevano loro
di portar fuori qualche patata da cuocere in baracca e saziarsi un po. Non
conoscendo la parola "sale" in francese, i prigionieri ebbero qualche problema a
farsi comprendere dal droghiere. Ma questi traffici non durarono a lungo. I tedeschi erano
stati avvertiti e così i prigionieri erano sistematicamente perquisiti alla loro uscita
dalla cucina. Tuttavia nel ricordo di mio padre, questo periodo non era segnato dalla
mancanza di cibo come era avvenuto in Provenza e come succederà nei campi di prigionia
alla fine della guerra.
Un altro ricordo di questo periodo era collegato ai contatti intrattenuti da mio padre
e dal suo amico Cornelio con i resistenti francesi, contatti che erano stati favoriti dal
parroco presso cui si recavano a messa la domenica. Si immaginavano, in questo modo, di
poter realizzare la loro evasione. Ma la cosa non ebbe seguito. I tedeschi avendo qualche
sospetto presero la decisione di impedire luscita dei prigionieri per la messa
rinchiudendoli, la domenica, nella loro baracca.
3. Il trasferimento a Pontchâteau
Dopo lo sbarco in Normandia e lavanzata delle truppe alleate lospedale
tedesco dovette essere trasferito da Plouay a Ponchâteau che si trovava nella sacca di
Saint Nazaire.

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'Lex seminario dei Religiosi
Monfortani presso il Calvaire de Pontchâteau che serviva da ospedale militare; di
fronte vi erano le baracche dei prigionieri |
Questo ospedale era stato sistemato
nei locali di un seminario dei religiosi dellordine fondato da Saint Louis Marie
Grignion de Monfort. Ledificio, nel luogo detto il Calvaire de la Madeleine, si
trova su un leggero rilievo che domina lodierno parco naturalistico della Grande
Brière.
"Eravamo una ventina di italiani, di diverse regioni (mio padre e il suo amico del
T-rentino, 5 o 6 piemontesi che avevano appartenuto alla compagnia sanità, un maestro
della Liguria, un siciliano, un napoletano
" Nella loro baracca avevano il
diritto di prepararsi il cibo con i soldi che ricevevano per il loro lavoro; acquistavano
dai contadini dei dintorni le patate, la farina , le uova. Erano anche in grado così di
prepararsi le lasagne disponendo le sfoglie a cavallo di una piccozza messa di
traverso
A volte cera anche il ragoût, a rischio di avvelenamento, perché
utilizzavano le scatole di carne scadute ed eliminate, per questo, dai tedeschi.
Il primo lavoro di mio padre è stato quello di preparare un piccolo cimitero a fianco
della chiesetta ai piedi del Calvario. In seguito i suoi compiti principali erano quelli
di scopare le stanze dei degenti e lapprovvigionamento idrico dellospedale.

A fianco dellospedale vi era una baracca per
la disinfezione. I soldati tedeschi di tutta la zona vi si recavano periodicamente, a
gruppi. Mio padre si ricorda che quando era il turno di SS il resto del personale tedesco
dellospedale appariva in stato di agitazione. In effetti gli SS erano sempre
sovreccitati, anche quando erano ricoverati. Un giorno mio padre entrando in una stanza
per le pulizie vide un SS, gravemente ferito, che soffriva enormemente, rivolgendosi a lui
gli disse nel suo tedesco: "nicht gut Krieg, nicht wahr ?" e laltro per
tutta risposta: "Nein, ist gut, gut !".
Come detto, uno dei compiti di mio padre era quello di riempire il serbatoio
dacqua per i servizi dellospedale recandosi con delle botti nei pozzi dei
dintorni. È in queste circostanze che ha potuto fare la conoscenza di quella che sarebbe
in seguito divenuta sua moglie, Mia madre originaria di Saint Nazaire si trovava sfollata
con la famiglia in un villaggetto (Le Buisson Rond) nelle vicinanze del Calvaire de la
Madeleine nel comune di Crossac. Avendo perso il suo lavoro (lavorava in una ditta di
confezioni che era stata distrutta dai bombardamenti), si trovava impiegata come
guardarobiera nello stesso ospedale militare.
In un primo momento i prigionieri non erano rinchiusi, di notte, nelle loro baracche
(la "toilette" si trovava allesterno) e mio padre ne approfittava per
uscire frequentemente e andare a trovare la sua fidanzata. In seguito i tedeschi
preoccupati dei possibili incontri fra prigionieri e partigiani impedirono queste uscite.
Tuttavia, avendo scoperto una piccola apertura, mio padre usciva ugualmente. Finché una
notte, a causa della nebbia che gravava sulla zona non riusciva più a trovare il
passaggio e venne scoperto dalla ronda tedesca. Fortunatamente uno dei due soldati finse
di credere alle giustificazioni di mio padre e riuscì convincere anche il collega a non
fare rapporto.
4. Fine della guerra
Nei primi giorni di maggio del 1945 lospedale venne trasferito a La Baule, ma i
prigionieri italiani rimasero sul posto, con grande delusione di mio padre che aveva
progettato di svignarsela approfittando del trasferimento. Nei giorni successivi vengono
"affittati" a contadini del posto. Per mio padre la situazione era ideale: fare
un lavoro che gli piaceva, mangiare in abbondanza e potere ricevere, di tanto in tanto le
visite della sua fidanzata, Ma dopo pochi giorni tutti i prigionieri che erano stati
sparpagliati nella zona vengono raggruppati assieme ai prigionieri tedeschi in un piccolo
campo posto dietro alla Chiesa di Pontchâteau. Qui, un giorno mio padre, da dietro il
reticolato, vide mia madre che discuteva con i responsabili francesi del campo: era venuta
a chiedere informazioni sul destino di quei prigionieri. Mio padre avrebbe voluto
avvicinarla ma un giovane soldato francese si pose in mezzo impedendo ogni contatto, Da
quel giorno,e per un anno, poterono avere solo dei contatti epistolari.
5. Il trasferimento a Nantes
Verso al fine di maggio i prigionieri vengono trasferiti in un capannone a Chantenay
(Loire Inférieure- Deposito n°44) (dopo due giorni passati presso laeroporto di
Montoir de Bretagne, nelle baracche occupate precedentemente da degli Alsaziani).
Un gruppo di prigionieri italiani, tra i quali mio padre, vennero condotti
allaeroporto di Château Bougon per riempire le buche che si erano formate durante i
bombardamenti. Attraversando la città di Nantes, a piedi, i francesi posti ai lati delle
vie li insultavano. Qualcuno tentava anche di picchiarli e anche mio padre si vide
assalito; per fortuna, uno dei soldati di scorta, un nordafricano, lo protesse in maniera
decisa, prendendo lassalitore per la collottola e depositandolo sul marciapiede.
Il grippo dei prigionieri era alloggiato nel château che dà nome allaeroporto,
in gran parte distrutto dalle bombe. A partire da questo momento i prigionieri hanno
cominciato a soffrire la fame, la razione di ogni pasto consisteva in un piccolo pezzo di
pane (una baguette in cinque) assieme a un piatto di un liquido indefinito nel quale si
trovava qualche pezzo di rapa. I prigionieri si indebolivano giorno dopo giorno e nemmeno
i soldati che li sorvegliavano avevano il coraggio di insistere perché lavorassero di
più. In quel posto vi erano anche degli operai francesi, dei civili, guidati da un capo
squadra di origine italiana. Questo ultimo prese a cuore la situazione dei compatrioti
prendendo contatto con le autorità consolari italiane che erano a Nantes. Nello stesso
tempo gli operai francesi facevano dei piccoli scambi con i prigionieri fornendo loro
qualcosa da mangiare in cambio dei soldi di cui disponevano i prigionieri. Ma le autorità
francesi vollero impedire questo traffico sequestrando tutto i denaro e gli oggetti di
qualche valore. Quei prigionieri che cercavano di nascondere qualche avere, se scoperti,
erano puniti fisicamente. Mio padre volle correre il rischio di tenere nascosto un
biglietto di 1000 franchi"nuovi" (appena cambiati per il tramite di un soldato
di guardia) sotto un foglio di carta nella sua valigia ed ebbe la fortuna di non essere
scoperto.
6. Il trasferimento ad Amboise
Il 29 giugno tutti i prigionieri vengono fatti partire per
il dépôt 41 d'Amboise; in treno fino a Tours, 60 per vagone, pigiati come sardine, e poi
a piedi fino al campo. Qui sono sistemate tre baracche una per i Tedeschi, la seconda per
gli Italiani e la terza per i Rumeni
I prigionieri erano malnutriti Lunica speranza era quella di essere scelti al
mattino per andare a lavorare nelle fattorie dei dintorni e avere così la possibilità di
mangiare. Al mattino, così, era la corsa a chi arrivava primo per essere
"assunto" Per gli italiani, in questo modo, cera qualche possibilità, ma
per i tedeschi, che non avevano la stessa opportunità e dovevano accontentarsi delle
razioni del campo era molto dura. Anche la solidarietà non era eccessiva. Tuttavia quando
per gli italiano cominciarono ad arrivare dei pacchi della Croce Rossa argentina i
superiori li convinsero a cederne una piccola parte anche ai tedeschi. Fra gli italiani vi
erano anche due ufficiali dei carabinieri che rivolgendosi al comando del campo cercavano
di far rispettare la convenzione di Ginevra..
Per quasi un mese un gruppo di loro fu dislocato a Chalet per pulire le strade e
sistemare un piccolo laghetto nelle vicinanze della città. Mio padre aveva un ottimo
ricordo delloperaio francese che era stato incaricato di sorvegliarli poiché
prendeva le loro difese quando erano presi a male parole da altri cittadini frances
("non è colpa loro, le guerre sono decise dai capi!").
Poco tempo prima di morire, nel raccontarmi qualche aneddoto della sua prigionia fece
questa osservazione: "Nei due anni e mezzo di prigionia ho avuto al fortuna di non
essere mai colpito fisicamente, né dai tedeschi né dai francesi, ma per gli altri non è
sempre stato così" Forse la sua fortuna è stata, prima, quella di conoscere qualche
parola di tedesco, e poi, grazie a mia madre, anche qualche parola di francese.
7. Il rimpatrio
Allinizio di novembre 1945 gli italiano hanno cominciato ad essere rimpatriati.
Mio padre è partito da Saumur per giungere a casa attraverso Lione e Ventimiglia il 6
dicembre 1945. Durante il viaggio erano assistiti dalla Croce Rossa che organizzava posti
di ristoro e li fornì anche di scarpe o di vestiario a seconda di che cosa era più
malridotto.
Nei mesi successivi mio padre ha tentato più volte di ottenere un passaporto per
ritornare in Francia e ricongiungersi con la fidanzata, ma le norme del periodo impedivano
i "viaggi turistici" Così, fu mia madre, accompagnata da una sua sorella a
venire in Italia nel maggio del 1946 per il matrimonio che ebbe luogo l8 giugno
seguente
Recentemente il 7 e l8 febbraio scorsi, dopo quasi 58 anni di matrimonio, se ne
sono andati a ventiquattrore di distanza luno dallaltra per
ricongiungersi, definitivamente, da unaltra parte.
È in ricordo della storia damore dei miei genitori e per onorarli che ho messo
insieme questi piccoli ricordi di un periodo di sofferenza.
Bruno Bortoli |